Osservatorio Sicurezza sul Lavoro

    Infortuni sul lavoro

     

    Più di una guerra, più di una qualsiasi micidiale epidemia, più delle vittime degli incidenti stradali: sono le morti "silenziose" sul lavoro. La Cisl internazionale (Confederazione Internazionale Sindacati Liberi) ha fornito le cifre mondiali sulle scarse condizioni di sicurezza e di lavoro: sono oltre 2 milioni (di cui 12mila bambini), in un anno, le persone sul pianeta ad aver perso la vita mentre stavano lavorando. In Italia sono più di 1.200. A queste si aggiungono 270 milioni di incidenti non mortali (981.523 in Italia) e 160 milioni di persone (più dell'intera popolazione della Russia) che hanno contratto malattie sul luogo di lavoro. 
    A detenere il record negativo per morti e infortuni sul lavoro e malattie professionali - riferisce ancora la Cisl Internazionale - è la Cina. Guy Ryder, segretario generale della Cisl internazionale commenta: "Scarse condizioni di salute e sicurezza e condizioni insostenibili nel lavoro continuano ad uccidere anche nei tempi moderni. Allo stesso tempo i governi non solo stanno tornando indietro rispetto agli standard di sicurezza ma consentono anche che datori di lavoro senza scrupoli mettano in costante rischio le vite dei lavoratori". 
    A questa considerazione di fondo occorre aggiungere:

    • la mancanza di una cultura della prevenzione;
    • il dilagare, soprattutto nelle aree più povere, del lavoro nero e privo dei controlli anche più elementari; 
    • le inadempienze dei datori di lavoro, che speculano sulle misure di sicurezza da adottare, la disattenzione dei lavoratori;
    • la disattenzione dei lavoratori; 
    • il crescente utilizzo nell'industria e in agricoltura di sostanze chimiche pericolose o cancerogene che hanno contribuito alla crescita esponenziale di "tumori professionali".

    Questo dossier presenta un quadro completo e aggiornato sul fenomeno delle morti bianche e degli incidenti sul lavoro, in Italia e non solo: statistiche, informazioni e tendenze grazie ai dati dell'Inail, l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, e dell'Anim, associazione nazionale mutilati ed invalidi civili. Terminano questo dossier alcuni approfondimenti ed esperienze di extracomunitari, testimoni e vittime di infortuni nei cantieri edili e del lavoro nero.

    Il fenomeno degli infortuni sul lavoro

    Tecnopatie: le malattie professionali 

    Nuove regole per la sicurezza 

    I dati del fenomeno 

    Il lunedì nero del lavoratore 

    Giovani, record di infortuni 

    Precari a rischio 

    Immigrato, mestiere pericoloso

    La mappa degli infortuni in Italia


    Il fenomeno degli infortuni sul lavoro 


    Ogni anno si verificano in Italia oltre 1.000.000 di incidenti sul lavoro con conseguenze che provocano quasi 25.000 invalidità permanenti e più di 1.200 morti. Ciò equivale a dire che ogni giorno tre persone muoiono sul lavoro.
    L'andamento del fenomeno, purtroppo, non suscita alcun ottimismo, in quanto il lieve calo degli ultimi anni, era dovuto principalmente alla diminuzione delle ore lavorate, diminuzione conseguente alla crisi occupazionale nei settori tradizionalmente più a rischio e cioè la metalmeccanica e l'edilizia (in un anno quasi 100.000 incidenti con assenza dal lavoro superiore a tre giorni per ciascun settore). 
    Questo è testimoniato dalla tendenza all'aumento degli infortuni sul lavoro che sta accompagnando la ripresa produttiva: gli incidenti denunciati nel settore industria sono passati dagli 866.052 del 1998, agli 872.092 del 1999, fino ad arrivare a 904.565 nel 2000. 
    Deve anche essere sottolineato che circa il 45% dei casi (426.581 nel 2000) riguardano lavoratori di età compresa tra i 18 e i 34 anni. In forte aumento anche gli infortuni nelle scuole: 35.596 nel 1995, 77.979 nel 1999. L'Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO) stima che ogni anno si verificano nel mondo:

     250 milioni di incidenti sul lavoro, che equivalgono a 685.000 al giorno, 475 al minuto e 8 al secondo; 
     12 milioni di incidenti sul lavoro che colpiscono minori; 
     più di 1.300.000 decessi legati al lavoro che equivalgono a 3.300 morti al giorno; 
     100.000 decessi provocati dalla sola lavorazione dell'amianto.

    Una ecatombe che supera, sempre secondo l'ILO, il numero dei decessi per incidenti stradali (990.000) o per le guerre (502.000). Il costo economico, in Italia ogni anno:

     Giornate lavorative perse: da quasi 700.000 infortuni con inabilità temporanea al lavoro deriva la perdita di oltre 16.000.000 di giornate lavorative.
     Costo per il pagamento dell'indennità per inabilità temporanea al lavoro: 500 milioni di euro per il solo INAIL (senza quindi considerare l'INPS e le spese sanitarie). 
     Costo per i nuovi infortuni: quasi 25.000 invalidità permanenti rappresentano un costo per rendite vitalizie di oltre 100 milioni di euro. 
     Costo per rendite già costituite: 5 miliardi di euro.

    Sul fronte della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, soltanto nel 1994, con grave ritardo sugli altri paesi dell'Unione Europea - l'Italia ha recepito le direttive in materia di sicurezza sul lavoro - sulle quali si è riscontrata la forte opposizione dei datori di lavoro che le ritenevano eccessivamente onerose. In effetti, l'attuale normativa, complessivamente soddisfacente per la sicurezza dei lavoratori, si scontra con una realtà in cui a tutt'oggi, nonostante le continue proroghe, viene sostanzialmente inapplicata per due ragioni fondamentali:

     da parte dei datori di lavoro l'adeguamento delle norme di sicurezza continua ad essere visto come un costo aggiuntivo, ritenendo peraltro che il rischio dei lavoratori viene già coperto da un'assicurazione obbligatoria; 
     gli stessi lavoratori cui la nuova normativa affida anche responsabilità di controllo sulle misure di sicurezza, nella maggior parte dei casi, non sono preparati a questo ruolo e si trovano in difficoltà ad esercitarlo rispetto a quei datori di lavoro con pochi scrupoli che approfittano della facile disponibilità di manodopera, per porre il lavoratore stesso in una condizione quasi di sudditanza.

    Le cause principali del fenomeno sono fondamentalmente di quattro generi:

     nell'ambiente di lavoro, le inadempienze da parte delle aziende, le disattenzioni dei lavoratori che con l'assuefazione al lavoro sottovalutano i rischi, la tendenza all'esclusione dei dispositivi di sicurezza allo scopo di aumentare i ritmi di lavoro e quindi la produttività;
     la mancanza di controlli da parte delle strutture a ciò preposte: oggi l'eventualità di un controllo è quasi pari alla possibilità di vincere alla lotteria, perché gli Ispettorati del lavoro sono paurosamente a corto di organici e perché le Aziende Sanitarie Locali hanno pochissime professionalità idonee allo scopo; 
     l'assenza di una cultura della prevenzione dei rischi da lavoro che, anzi, sono considerati come inevitabili e connaturati con l'attività lavorativa;
     lavoro nero ed appalti, vecchie forme di sfruttamento della manodopera che hanno tuttora una posizione centrale tra le cause all'origine degli infortuni e delle malattie professionali.

    E' di tutta evidenza che la totale irregolarità del rapporto di lavoro o l'esigenza di ridurre al massimo i costi di produzione - esigenza questa accentuata anche dall'esasperazione della concorrenza - non si conciliano con la sicurezza dei lavoratori. Ai tradizionali fattori di rischio si aggiungono quasi quotidianamente nuovi pericoli, soprattutto per le malattie professionali. Molte sostanze sono considerate "probabilmente" o "possibilmente" cancerogene e si calcola che in Italia, ogni anno, si hanno circa 4.000 casi di "tumori professionali" (in agricoltura si pensi all'uso dei fitofarmaci). Inoltre, nuove malattie insorgono di pari passo con le modifiche dell'organizzazione del lavoro: dall'informatizzazione danni visivi dovuti all'uso dei videoterminali; dalla tensione legata alle richieste di aumento della produttività situazioni di stress in diretta relazione con l'errore umano e l'incidente. 
    Un ultimo riferimento deve essere fatto alla precarizzazione del rapporto di lavoro e quindi ad un calo dell'esperienza del lavoratore che determina una diminuzione delle condizioni di sicurezza.

    Tratto da Anim, associazione nazionale mutilati ed invalidi civili, 2003.

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    Tecnopatie: le malattie professionali

    Sono latenti e lente nella loro manifestazione, subdole, pericolose e spesso sottovalutate. Sono le malattie professionali, patologie che i lavoratori contraggono per effetto dei lavori svolti. Diverse dagli infortuni perché caratterizzate da una graduale, progressiva, lenta azione di fattori presenti nell’ambiente di lavoro che possono compromettere la salute dei lavoratori. E queste stesse caratteristiche ne determinano un progressivo aumento nelle rilevazioni degli ultimi anni, come mostrano i dati delle denunce giunte all’Inail.

    Il periodo che va dal 2004 al 2008 ha mostrato, dopo un primo triennio di sostanziale stabilità intorno ai 26.700 casi, una sensibile crescita delle denunce pari a circa 2mila casi (+7,4%) nel 2007 e un ulteriore incremento nel 2008, anno in cui sono pervenute 29.704 denunce, vale a dire un migliaio in più rispetto all’anno precedente (+3,2%). 
    Nel giro degli ultimi due anni, dunque, si è registrato un aumento di ben 3mila casi, (+11,7%) delle denunce presentate all’Inail per il riconoscimento e l’eventuale indennizzo di una patologia di origine lavorativa. Una repentina crescita che potrebbe far pensare ad un improvviso peggioramento delle condizioni di salubrità negli ambienti di lavoro, 2 4 pagina Continua a pagina 7 ® mentre più verosimilmente è riconducibile ad una progressiva, e auspicata, emersione del fenomeno. 

    I dati ufficiali sul fenomeno tecnopatico soffrono di una storica sottovalutazione, dovuta tra l’altro a lunghi periodi di latenza, difficoltà di individuazione e accertamento del nesso causale ed anche per un significativo fenomeno di “sottodenuncia” da parte dei lavoratori. 
    L’aumento delle denunce riscontrato negli ultimi due anni va quindi senz’altro ricondotto ad una più matura consapevolezza raggiunta dalle parti interessate. In questa direzione si è lavorato negli ultimi anni, investendo energie e risorse nella sensibilizzazione e nell’informazione delle parti coinvolte. 
    E’ nei settori dell’Industria e dei Servizi, che si registra il più alto numero di tecnopatie con il 93% dei casi. Settori in cui, dopo la tendenza al ribasso osservata nel triennio 2004-2006 e l’impennata del 2007, si rileva nel 2008 un ulteriore incremento di circa 800 casi (+3%), raggiungendo quota 27.539 denunce. Ma l’aumento più impetuoso lo segna l’Agricoltura (+10,6% sul 2007) che con 1.817 denunce nel 2008 fa registrare un incremento di quasi il 70% rispetto al dato del 2004 quando le denunce non raggiungevano i 1.100 casi. 
    Un ridimensionamento del fenomeno si evidenzia invece per gli statali, che con 348 casi, mostrano una contrazione delle denunce dell’11,2% rispetto al 2007. In 20 tipi di patologie, tabellate e non, si racchiude il 90% dei casi. 

    L’ipoacusia e sordità si conferma come prima malattia professionale per numero di denunce, con un’incidenza che però diminuisce di anno in anno, passando dal 30% del totale nel 2004 al 20% nel 2008. Sono altre le patologie emergenti, in particolare quelle che colpiscono l’apparato muscolo-scheletrico: le denunce per tendiniti (oltre 4.000 nel 2008) e le affezioni dei dischi intervertebrali (circa 3.800) sono raddoppiate nell’ultimo quinquennio; significative anche le denunce per artrosi (circa 1.900 casi) e per sindrome del tunnel carpale (circa 1.500 casi). 
    Restano ancora oggi significative l’asbestosi (circa 600 casi l’anno), patologia che - avvisano gli esperti - ha periodi di latenza anche di 40 anni) e la silicosi (quasi 300 casi nel 2008), caratterizzata fortunatamente da una tendenziale contrazione nel corso del quinquennio. Un’attenzione particolare è stata rivolta recentemente alle malattie professionali di natura psichica. 
    I dati rilevati sono ancora da considerare, in una certa misura, sottostimati, ma in generale i “disturbi psichici lavoro-correlati”, sono stati denunciati nell’ultimo quinquennio da circa 500 lavoratori l’anno, la maggior parte dei quali è stata dimostrata effetto di “mobbing”. 
    Tali patologie si concentrano soprattutto nelle attività dei Servizi e tra i dipendenti pubblici. Una patologia di particolare gravità è quella dei tumori professionali che, nonostante il difficile riscontro del nesso causale, si posizionano ai primi posti nella graduatoria delle malattie professionali denunciate all’Inail. 
    I dati rilevati dagli archivi istituzionali rivelano come, nel complesso delle Gestioni, i tumori si posizionino comunque tra i primi posti nella graduatoria delle malattie professionali denunciate all’Inail. 
    Nel complesso (tumori tabellati e non), sono pervenute all’Istituto negli ultimi anni, fino al 2008, circa 2mila denunce l’anno, in crescita rispetto ai 1.700 casi del 2004. 
    Quasi la metà, 900 casi l’anno sono dovuti a neoplasie da asbesto ma consistenze particolarmente elevate stanno assumendo anche quelli legati, ancora, all’apparato respiratorio (quasi 400 casi l’anno) e alla vescica (circa 300 denunce nel 2008).

    Consulta la definizioni, le fonti normative e le azioni di prevenzione delle malattie professionali nelle attività pubbliche.

    Tratto da Ministero del Lavoro, Newsletter Sicurezza e prevenzione, n. 6 del 6 gennaio 2010.


    Nuove regole per la sicurezza

    Il 1 agosto 2007 il Parlamento ha approvato in via definitiva il Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Il provvedimento si compone di due parti. La prima parte prevede una delega al governo per il riassetto delle misure in tema di salute e sicurezza sul lavoro, mentre la seconda apporta una serie di modifiche alla legislazione esistente che sono in vigore da subito.
    La delega impegna il Governo "ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, in conformità` all'articolo 117 della Costituzione" e garantendo "l'uniformità della tutela dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati". 
    Ferma restando l'uniformità della tutela, i decreti dovranno distinguere tra i principi fondamentali, di competenza statale, e la disciplina di dettaglio, destinata ad operare solo fino a quando le Regioni e le Province autonome non esercitino il potere loro conferito. 

    Queste le previsioni principali della delega:

    - riordino e coordinamento delle disposizioni vigenti, nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia; 

    - applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro a tutti i settori di attività e a tutte le tipologie di rischio, anche tenendo conto delle peculiarità o della particolare pericolosità degli stessi e della specificità di settori ed ambiti lavorativi; 

    - applicazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro a tutti i lavoratori e lavoratrici, autonomi e subordinati; 

    - semplificazione degli adempimenti meramente formali in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, nel pieno rispetto dei livelli di tutela, con particolare riguardo alle piccole, medie e micro imprese; 

    - riordino della normativa in materia di macchine, impianti, attrezzature di lavoro, opere provvisionali e dispositivi di protezione individuale, al fine di operare il necessario coordinamento tra le direttive di prodotto e quelle di utilizzo concernenti la tutela della salute e la sicurezza sul lavoro e di razionalizzare il sistema pubblico di controllo; 

    - riformulazione e razionalizzazione dell'apparato sanzionatorio, amministrativo e penale, per la violazione delle norme vigenti e per le infrazioni alle disposizioni contenute nei decreti legislativi emanati in attuazione della presente legge; 

    - rivisitazione e potenziamento delle funzioni degli organismi paritetici, anche quali strumento di aiuto alle imprese nell'individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro; 

    -realizzazione di un coordinamento su tutto il territorio nazionale delle attività e delle politiche in materia di salute e sicurezza sul lavoro, nonché ridefinizione dei compiti e della composizione, da prevedere su base tripartita e di norma paritetica e nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome di cui all'articolo 117 della Costituzione, della commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro e dei comitati regionali di coordinamento; 

    - valorizzazione, anche mediante rinvio legislativo, di accordi aziendali, territoriali e nazionali, nonché, su base volontaria, dei codici di condotta ed etici e delle buone prassi che orientino i comportamenti dei datori di lavoro, anche secondo i principi della responsabilità sociale, dei lavoratori e di tutti i soggetti interessati, ai fini del miglioramento dei livelli di tutela definiti legislativamente; 

    - rafforzamento del ruolo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e introduzione della figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo.

    Gli articoli successivi della legge prevedono invece una serie di modifiche che entreranno in vigore immediatamente, precisamente 15 giorni dopo la pubblicazione della legge sulla "Gazzetta Ufficiale". Ecco le novità più importanti:

    - Inail parte civile: l'Inail potrà costituirsi parte civile in caso di processo per omicidio o lesioni colpose con violazione delle norme di sicurezza; 

    - modifiche alla legge 626: si prevede l'elaborazione, da parte del datore di lavoro di un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze; tale documento è` allegato al contratto di appalto o d’opera; 

    - coordinamento in materia di sicurezza: è prevista l'emanazione di un Dcpm che dovrà indicare i settori prioritari di intervento dell'attività di vigilanza; 

    - sospensione dei lavori: l'attività viene sospesa quando il datore di lavoro impiega personale irregolare in misura uguale o superiore al 20% del totale; viene inoltre estesa anche in caso di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di sicurezza sul lavoro: 
    - controlli: riguarderanno anche le imprese in corso di regolarizzazione; 

    - organismi paritetici: possono effettuare controlli per verificare l'applicazione delle norme di sicurezza; 

    - tessera di riconoscimento: dal 1 settembre, per svolgere attività di appalto o subappalto, sarà obbligatoria una tessera con fotografia e generalità del lavoratore e nome del datore di lavoro.

    Il Consiglio dei ministri ha approvato in data 6 marzo 2008 il decreto legislativo sulla sicurezza sul lavoro che attua la legge n. 123 del 3 agosto 2007.

    Il decreto legislativo "correttivo" n. 106/2009 del 3 agosto 2009 dal titolo Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 81/2001 in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro corregge il testo sulla sicurezza sui luoghi di lavoro (legge n. 123 del 3 agosto 2007). 
    Sono previste sanzioni alleggerite, patente a punti per verificare l'idoneità delle imprese in settori particolarmente a rischio e snellimento delle procedure burocratiche. 
    In particolare, il decreto introduce un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi in settori a particolare rischio infortunistico perché possano operare solo aziende o lavoratori autonomi rispettosi delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Questo sistema, in vista della sua estensione in altri ambiti, inizierà a operare nel settore edile per mezzo dell'istituzione di una patente per la verifica della idoneità tecnico-professionale delle imprese o dei lavoratori autonomi edili, la quale verrà valutata tenendo conto di elementi quali la presenza di attività di formazione e l'assenza di sanzioni da parte degli organi di vigilanza.
    Si prevede l'attribuzione iniziale, in sede di qualificazione dell'impresa, a ogni azienda o lavoratore autonomo edile di un punteggio: l'azzeramento determina l'impossibilità per l'impresa o il lavoratore autonomo di operare. 
    Le novità riguardano, oltre alle imprese di tutti i settori, anche i volontari della Cri, Forze armate e di polizia e vigili del fuoco. Ma per questi soggetti verranno emanati decreti entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto correttivo. Invece un decreto ministeriale da emanare entro il 31 dicembre 2010 disciplinerà particolari adeguamenti nei confronti di coop sociali e volontariato della protezione civile. 

    Scopri come cambia la normativa sulla sicurezza sul lavoro, con l'approfondimento de Il Sole 24 Ore.
    Per un quadro normativo completo e aggiornato, rimandiamo al sito www.lavoro.gov.it.

    Tratto da: Elaborazione redazionale, 10 agosto 2007.

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    I dati del fenomeno


    L’Osservatorio Sicurezza sul lavoro di Vega Engineering da oltre due decenni lavora nel settore della formazione e della sicurezza. I dati della sua ultima rilevazioni destano preoccupazione. Aumentano nuovamente nei primi tre mesi dell'anno le morti sul lavoro. 
    Sono infatti 114 i decessi sul lavoro da gennaio a marzo, contro i 91 del primo trimestre 2010. Si evidenza quindi un'inversione di tendenza rispetto al 2010, anno il quale, secondo gli ultimi dati Inail, aveva visto una flessione dell'1,9% degli infortuni in complesso rispetto al 2009 (da 790 mila casi a 775 mila casi); una flessione del 6,9% degli infortuni mortali (da 1053 a 980). Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte sono le regioni con più decessi, seguite da Sicilia, Campania e Veneto. 
    In rapporto al numero di occupati, invece, ad indossare la maglia nera è sempre la Valle D’Aosta. Milano la provincia maggiormente colpita, seguita da Torino, Catania, Bologna e Napoli. Nel settore agricolo si è verificato il 35,1% delle morti bianche, seguito da quello delle costruzioni (21,9 % delle vittime). La fascia d’età maggiormente a rischio è invece quella che va dai 40 ai 49 anni con 29 vittime (25,7 %del totale). 

    Consulta l'analisi statistiche aggiornate dei casi di morte sul lavoro e l'analisi statistiche aggiornate dei casi di morte sul lavorodell'Osservatorio Sicurezza sul lavoro di Vega Engineering. 

    Tratto da: Inail , 17 aprile 2011.

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    Il lunedì nero del lavoratore


    Il lunedì si conferma come il giorno più rischioso per il lavoratore. Il primo giorno della settimana, infatti, è quello che fa registrare il maggior numero di infortuni sia in Agricoltura (circa 13.000 casi denunciati pari al 18,5% del totale) sia nell’Industria e Servizi (circa 166.000 pari al 19% del totale). Probabilmente la causa va ricercata nella minore concentrazione del lavoratore alla ripresa dell’attività dopo i due giorni di pausa del fine settimana; ipotesi questa avvalorata anche dall’elevato numero di incidenti che si verificano nelle prime ore del mattino, in particolare tra le 9 e le 11, fascia oraria in cui si concentra circa il 30% degli infortuni. E
    ’ interessante inoltre notare come, se nel corso dell’anno i primi giorni della settimana sono i più pericolosi, soltanto nel mese di luglio la situazione si ribalta e il primato degli infortuni si sposta alla seconda metà della settimana: nell’Industria e Servizi la quota più elevata di infortuni (circa il 20%) spetta al giovedì e in Agricoltura al venerdì. Non ci sono, invece, particolari differenze tra uomini e donne, fatta eccezione per la maggiore percentuale di infortuni femminili che si registrano tra sabato e domenica, pari a circa il 13% a fronte di un 9% per i maschi.
    I due giorni del fine settimana, ovviamente, sono caratterizzati da un numero nettamente inferiore di infortuni (insieme raggiungono appena il 10% del totale) che, peraltro, si verificano per lo più in alcuni particolari settori attivi anche nei giorni festivi, come Alberghi e ristoranti, Sanità e Commercio, settori notoriamente ad alto tasso di femminilizzazione. In particolare, quasi un terzo delle donne che subiscono un infortunio nel fine settimana è occupato presso Alberghi e ristoranti o nella Sanità, contro una media maschile pari ad appena il 9%.

    Casi di infortuni denunciati per giorno di accadimento - anno 2004.

     

     

    I tassi di frequenza infortunistica sono di solito riferiti a periodi annuali o pluriennali mentre, ad esempio, di forte interesse appaiono stagionalità e ciclicità del fenomeno, ai più ignote. In tale quadro, ci si può chiedere se e come si muova il rischio di subire un trauma nelle varie ore della giornata lavorativa.
    In termini assoluti, intorno alle dieci del mattino avviene la maggior quota di infortuni, ma ciò è solo un elemento. Infatti, i tassi di frequenza presentano, a denominatore del rapporto che li caratterizza, la dimensione dell’esposizione al rischio espressa, ad es., in termini di addetti, elemento variabile di ora in ora e comunque sconosciuto nella sua concreta entità oraria.
    La difficoltà, insuperabile, va aggirata. Se si considera la distribuzione percentuale per ora solare e ordinale dei traumi avvenuti in un’area geografica, settoriale o temporale, si possono analizzare le singole diagonali della tabella. 
    Ognuna di esse riguarda una collettività particolare (quella degli addetti entrati al lavoro in una data ora solare osservata nel corso della giornata di lavoro) e, in ognuna, le percentuali di infortunio, dovrebbero risultare, a meno degli effetti della casualità, di ora in ora decrescenti se il rischio fosse costante, perché gli addetti possono progressivamente diminuire, non aumentare. In realtà, invece, tali valori crescono spesso e di molto, soprattutto nelle ore postprandiali, individuando una variazione di rischio che può essere messa in relazione con la dieta o con gli effetti del ciclo luce-buio, alternanza che governa i comportamenti inconsci dei viventi e rende più rischiose le ore pomeridiane. 
    Un recente studio scandaglia la prima possibilità fornendo indicazioni per una sana alimentazione nelle mense aziendali. La seconda è invece allo studio presso Inail e presto se ne avranno i risultati.

    Casi di infortuni denunciati per ramo di attività economica giorno di accadimento - anno 2004.

     

     


    Casi di infortuni denunciati nel settore industria e servizi per ora di accadimento - anno 2004.

     

    Tratto da: Inail, luglio 2005.

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    Giovani, record di infortuni 


    Si dice che chi ben comincia è già alla metà dell’opera. Purtroppo però, di ben cominciare, ai giovani capita sempre più raramente. Soprattutto se si tratta di un impiego. Per molti di loro il lavoro è diventato una chimera. Ma c’è di più. Proprio ai ragazzi e alle ragazze succede di cadere più spesso nelle trappole nascoste nei luoghi del lavoro. Sì, perché sono i giovani quelli che si infortunano di più mentre lavorano. Più di quanto non accada ai loro colleghi adulti. 
    Nel 2004, dati Inail, gli infortuni denunciati dagli “under 34” sono stati oltre 380 mila, quasi la metà del totale di quanto avvenuto lungo il corso di tutto l’anno. Seppure la proporzione si è in parte ridotta in questi ultimi anni, in Italia, così come in Europa, l’incidenza di infortuni sugli occupati per la classe di età più giovane è ancora quasi doppia rispetto a quella degli altri lavoratori. 
    L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, per questo, lancerà, a partire dal 23 ottobre prossimo, la campagna “Safe Start” affinché se ne parli più di quanto non succeda oggi. Sì perché c’è qualcosa nel nuovo lavoro che acuisce i rischi della classe più vulnerabile. “Dai dati che abbiamo noi – sottolinea Emilio Viafora, segretario generale di Nidil Cigl (leggi intervista integrale)- si evince che il massimo degli infortuni avviene nelle somministrazioni, soprattutto nella prima missione”. 
    Il 73 per cento degli interinali, secondo un’indagine realizzata da Ispesl e Cgil, dice di non essere mai stato informato sui rischi presenti sull’attuale posto di lavoro e quasi sei su dieci non sanno neppure se nell’azienda esista o meno il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. 
    I contratti atipici quindi. Ma anche l’inesperienza, la poca formazione e la scarsità delle informazioni di cui i ragazzi e le ragazze dispongono. Senza contare la scarsa sensibilità dei datori di lavoro. Sono tante le cause di quello che accade ogni giorno nelle fabbriche e negli uffici delle città italiane. Anche se in proporzione minore di quanto avveniva nel 2000, gli infortuni per lo più avvengono ancora nell’industria (metalli e meccanica), e nelle costruzioni ma anche nel commercio e nei trasporti ci sono numeri preoccupanti. Quanto alle differenze territoriali il fenomeno raggiunge numeri elevati soprattutto nel Nord Est. A questi dati però vanno aggiunti quelli relativi al lavoro nero. 
    “Se seguiamo l’Istat che stima in 3 milioni e 300 mila i lavoratori irregolari – dice Franco D’Amico dell’Inail - e applichiamo i tassi di frequenza infortunistica per ciascuno di questi settori, il totale degli incidenti dovrebbe salire complessivamente di altre180-190 mila unità.” 
    Di questi, circa 70-80 mila interesserebbe gli “under 34”. Per la ricerca dell’European survey on working conditions i lavoratori sotto i 24 anni sono quelli più esposti ai rumori, alle vibrazioni e al calore. Quasi uno su cinque di loro lavora tenendo una postura dannosa, il 12,5% è chiamato a sopportare sforzi fisici gravosi e molti di loro effettuano movimenti ripetitivi (capita al 35,8% dei giovani contro il 30% del resto della forza lavoro). Senza contare che quasi un giovane su tre lavora “ad alta velocità”. 
    Soprattutto in ragione del controllo diretto del capo (capita al 46,9% di loro), perché indotti dai loro colleghi (per il 42,7%) o per la velocità automatica dei macchinari (al 24,2 per cento). Da questi numeri si capisce che il lavoratore non è una figura astratta. 
    Un ente immutabile. E come tale non andrebbe trattato. Perché i rischi che ciascuno corre dipendono dalla propria costituzione ma anche da quanto ne sa. Dalle informazioni che ha ricevuto. “I giovani sono maggiormente esposti ai rischi lavorativi per il loro minore grado di conoscenza – afferma Elena Battaglini, responsabile per l’Ires dell’area di ricerca relativa all’ambiente, al territorio e alla sicurezza - che va collegato strettamente alla condizione contrattuale di tipo ‘atipico e flessibile’ e alla minore esperienza lavorativa. 
    Due fattori che tendono a relegare in secondo piano i temi della salute e della sicurezza, favorendo invece le preoccupazioni relative al mantenimento del posto di lavoro.” Anche la conformazione del sistema produttivo italiano, sbilanciato verso la piccola impresa, rischia di aggravare il fenomeno. “La formazione – dice Franco D’Amico dell’Inail – nelle grandi imprese in qualche modo di fa, ma nelle piccole e piccolissime imprese è poi così diffusa. Se ci poniamo di fronte alle nuove emergenze, ai lavoratori atipici e agli extracomunitari, ci accorgiamo che questi sono lavoratori che hanno una scarsissima informazione e vengono messi a fare lavori che non hanno mai fatto.” 
    “In Italia la cultura della sicurezza – sottolinea Antonio Leva dell’Ispesl - è davvero bassa, c’è una situazione a macchia di leopardo. Nelle multinazionali tale cultura è maggiore ma per il resto non ci si può ritenere soddisfatti.” Senza contare che il passaggio di paradigma tecnologico e la nuova organizzazione del lavoro sembra fare emergere una serie di nuovi rischi della cui gravità fino ad oggi non si è avuta sufficiente percezione. Secondo il rapporto pubblicato a fine 2005 dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, che ha coinvolto esperti di 14 paesi europei e Stati Uniti, la mancanza di attività fisica è il principale rischio emergente. 
    Chi lavora in un call center, dicono gli esperti dell’Agenzia, è esposto a rischi multipli e interagenti: troppo tempo seduti, scrivanie e sedie poco ergonomiche, rumore di sottofondo, cuffie inadeguate, pressione elevata sui tempi di lavoro con conseguente stress mentale ed emotivo. 
    Ma cosa si può fare per assicurare ai giovani una maggiore “protezione”? “Si ottiene essenzialmente con la formazione e l’informazione sui rischi e le politiche di tutela – dice Battaglini – Cose che spesso la condizione occupazionale di tipo ‘atipico’ non consente. 
    Si tratta di favorire, tra le imprese, una cultura della sicurezza che sia considerata come un vantaggio competitivo, in termini di qualità del lavoro e, quindi, di qualità dei processi e prodotti e non come vincolo alla libertà dell’imprenditore. Cultura che porterebbe inoltre a stipulare dei contratti, anche a progetto o interinali, che tutelino i lavoratori, anche in termini formativi, dai rischi connessi con i processi di lavoro.”

    Età
    Area geografica
     
    Nord Ovest
    Nord Est
    Centro
    Sud
    Isole
    Totale
    Fino a 17 anni
    2.752
    4.489
    978
    683
    338
    9.240
    18-34 anni
    118.766
    133.728
    69.528
    41.342
    15.858
    375.222
    35-49 anni
    101.871
    113.494
    68.233
    44.174
    18.422
    346.194
    50-64 anni
    34.400
    39.277
    28.550
    21.069
    8.884
    132.180
    Oltre 64 anni
    1.099
    1.793
    1.300
    525
    181
    4.898
    non determinata
    474
    879
    228
    164
    43
    1.788
    Totale
    255.362
    293.660
    168.817
    107.957
    43.726
    869.522
    Fonte: Inail

    Tratto da: la Repubblica, 27 marzo 2006.

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    Precari a rischio 

    Se il lavoro è poco sicuro, sono i lavoratori standard, quelli con il posto fisso, a saperlo prima. Gli altri, gli atipici, quelli che hanno contratti che non danno particolari certezze, non lo sanno o hanno spesso una percezione minore dei rischi che davvero corrono. Forse perché sono presi da preoccupazioni più immediate come quella di perdere il posto. Così, prestando meno attenzione ai rischi di infortuni e ai pericoli celati negli ambienti di lavoro, rischiano di infortunarsi ancora di più. 
    A denunciare il fenomeno è la ricerca “Salute, sicurezza e tutele nel lavoro” presentata da IncaIres-Cgil che ha indagato - su un campione di 800 lavoratori - per la prima volta la percezione soggettiva in tema di sicurezza. 
    Quando si parla di sicurezza, di agenti chimici o di polveri, a preoccuparsi sono soprattutto i lavoratori a tempo indeterminato: quasi sei su dieci di loro dice che ci sono fattori di rischio e il 37% dice che sono "ai limiti di allarme". Per i lavoratori atipici la percentuale scende al 30 per cento e per uno su tre di loro i fattori di rischio sono completamente assenti mentre la stessa cosa la dicono solo il 16,9% dei contratti a tempo indeterminato. 
    “Il dato della minore percezione da parte degli atipici – ci ha detto Agostino Megale, presidente dell’Ires – va affiancato alla dinamica reale degli infortuni sul lavoro dove invece il trend è chiaramente in crescita. Nel 2005 rispetto al 2002, dati Inail, i lavoratori atipici, in particolare i collaboratori, registrano un 30 % in più”.

    Infortuni sul lavoro - Percezione dei fattori di rischio per tipologia di contratto
     
    Molto alti
    Ai limiti dell’allarme
    Minimi
    Assenti
    Tempo indeterminato
    17,5
    37,0
    28,5
    16,9
    Tempo indeterminato
    12,3
    30,3
    33,2
    24,2
    Atipico
    13,5
    30,1
    26,4
    30,1
    Fonte: INCA-IRES – “Salute, sicurezza e tutele nel lavoro” - 2006

    Condizione contrattuale "precaria", poca esperienza lavorativa, tutti elementi che spingono a relegare in secondo piano i temi della sicurezza. Ma cosa si può fare per fare emergere tale evidenza e ridurre quindi l’esposizione a questi “inconsapevoli” rischi?. 
    “E’ necessario attivare, laddove c’è meno presenza di sindacato, e meno investimenti in formazione e meno stabilità – prosegue Megale - una dinamica di rilancio della concertazione territoriale proprio su questi temi della sicurezza. 
    Ma è anche necessario che la Commissione di Vigilanza della Rai prenda in esame la necessità di una campagna mirata della televisione pubblica finalizzata a fornire informazioni e formazioni, consigli utili, e eventualmente numeri attivi verdi che possano aiutare la persone a conoscere i loro diritti in materia.”
    Tanto più diventa necessaria l’informazione quanto più si scopre che tra i lavoratori italiani, secondo l’indagine, i “consapevoli” sono solo il 22,7% mentre un terzo può essere descritto come “transitorio”, ovvero con un contratto a progetto e la più bassa percezione del rischio. C’è da rivedere quindi, a dire degli autori dell’indagine, proprio il concetto di rischio. 
    “Il livello contrattuale – ci ha detto Elena Battaglini, responsabile area ambiente dell'Ires - influisce in maniera determinante sulla percezione dei rischi. Se la percezione dei rischi è uguale alla conoscenza, il fatto che l’atipico non percepisca i rischi che corre, pure lavorando in settori fortemente a rischio, finisce per incidere sulla modalità di una corretta gestione del rischio. Se si sottovaluta, si ancora più a rischio.” Il rischio non è una cosa certa e oggettiva, data per chiunque, ma piuttosto una cosa che può pressante più pericoloso e più rischioso a seconda di quanto se ne sa.

    Sicurezza sul lavoro: 4 identikit degli italiani
    1.
    Transitori: 32,7% 
    Hanno la più bassa percezione dei rischi, prevalenza lavoratori a progetto, prevalenza impiegati amministrativi, sono i più giovani, hanno un alto controllo da parte dell’azienda, sono i meno sindacalizzati e sono i più informati rispetto alle tutele.
    2.
    Preoccupati: 28,8 
    Hanno un’alta percezione dei rischi lavorativi, lavorano prevalentemente in piccole e piccolissime imprese, in prevalenza operai, i più preoccupati di perdere il lavoro, i meno istruiti, hanno il più basso status socio-economico, sono i più disinformati rispetto alle tutele.
    3.
    Consapevoli: 22,7% 
    Hanno la più alta percezione dei rischi, poco più della maggioranza ha un contratto a tempo indeterminato, lavorano prevalentemente nelle PMI, hanno la più alta professionalità richiesta, efficientismo esasperato, ritmi eccessivi, hanno il più alto grado di istruzione, sono i più informati rispetto alle tutele Inail e i meno informati sulle tutele del Patronato, sono i meno sindacalizzati.
    4.
    Inseriti: 16,4% 
    Hanno un’alta soddisfazione lavorativa, ritengono di essere esposti a rischi minori rispetto ad altre categorie, prevalenza contratti a tempo indeterminato, sono i più anziani con il più alto status socio-economico. Mediamente specializzati, i più sindacalizzati e mediamente disinformati.
    Fonte: INCA-IRES – “Salute, sicurezza e tutele nel lavoro” - 2006

    Tratto da: la Repubblica, 20 giugno 2006.

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    Immigrato, mestiere pericoloso 

    È sempre ad alto rischio il lavoro per gli extracomunitari nel nostro Paese: i recenti dati 2004 su assicurati e infortuni mettono in evidenza un differenziale molto netto rispetto alla media degli altri lavoratori. Gli studi effettuati conducono infatti, per gli immigrati, ad un tasso d’incidenza di 65 infortuni denunciati su 1000 assicurati, contro una media di poco superiore a 40 per il complesso degli occupati. Indici molto elevati e anche molto differenziati, soprattutto in relazione alla composizione per sesso: se nella media nazionale l’incidenza degli uomini è doppia rispetto a quella delle donne, per gli extracomunitari questa risulta addirittura tripla.
    Segno che le attività in cui i maschi sono impegnati sono particolarmente rischiose: in genere operano nei settori della Metallurgia o delle Costruzioni, dove quasi un quinto degli infortuni colpisce lavoratori immigrati. In questi due settori, inoltre, si concentra circa un terzo degli infortuni mortali occorsi a extracomunitari. Altra caratteristica di rilievo è rappresentata dalla giovane età dei lavoratori immigrati: per entrambi i sessi la quota di infortunati con meno di 35 anni supera il 50% del totale, contro una media nazionale del 40% circa. 
    Tutti elementi che sembrano confermare come la pericolosità delle attività svolte, la scarsa esperienza e l’inadeguata formazione/ preparazione professionale rappresentino ancora oggi i tratti caratteristici del lavoro immigrato in Italia. 
    Anche dal punto di vista territoriale la situazione si presenta molto diversificata: il 60% degli infortunati extracomunitari si concentra nelle regioni Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, in misura cioè superiore del 15% agli infortunati in complesso. Bassa invece l’incidenza nel Sud e Isole, dove la scarsa offerta lavorativa non favorisce la presenza straniera.

    Lavoratori extracomunitari assicurati all'Inail - anno 2000-04

     

     

    Casi di infortuni occorsi a lavoratori extracomunitari per Paese di origine - anno 2004

     

    Nel 2004 sono stati oltre 115mila gli infortuni sul lavoro occorsi a extracomunitari: il 6,7% in più rispetto all’anno precedente e il 25% rispetto al 2002. Dato in controtendenza se confrontato con le denunce di tutti i lavoratori per i quali si conferma, invece, una costante riduzione negli ultimi anni. L’incremento, comunque, è in buona parte giustificato dall’aumento della forza lavoro: nel 2004 gli extracomunitari assicurati all’Inail sono stati quasi 1,8 milioni, il 5% in più rispetto al 2003. 
    A dare il maggior contributo sono Marocco, Albania e Romania che da soli assommano oltre il 40% degli infortuni nel complesso. Analoga distribuzione per i casi mortali pari al 15% di tutti i decessi: da sottolineare il crescente numero di morti tra i rumeni (33 casi su un totale di 164) impiegati per lo più nelle attività delle Costruzioni e dei Trasporti. 
    Ma l’aspetto più interessante è la sensibile crescita delle extracomunitarie assicurate che dal 2002 ad oggi sono aumentate del 50%. In particolare, le rumene salgono al primo posto sia come numero di assicurate che di infortunate; queste nel corso dello stesso periodo risultano più che raddoppiate, a fronte di un incremento del 36% registrato dalle altre lavoratrici straniere.

    Casi di infortuni occorsi a lavoratori extracomunitari per settori di attività, classe di età e sesso- anno 2004

     

    Il numero degli stranieri regolari in Italia è ormai ben oltre la soglia dei due milioni; essi rappresentano circa il 4,5% della popolazione complessiva e risiedono nel Nord per il 60%, per il 30% nel Centro e per il restante 10% nel Meridione. Tale foto del pianeta immigrazione, scattata a fine 2004 da vari osservatori istituzionali, comprende anche 400mila minori. 
    Sotto il profilo occupazionale, quasi il 20% degli stranieri gode di un contratto a tempo indeterminato, il 10% ha un lavoro temporaneo mentre la quota restante, circa il 70%, è legata a rapporti di lavoro atipico. Per altro verso, il 7,4% degli immigrati lavora in Agricoltura, il 21,7% nell’Industria, il 27,7% nei Servizi mentre il residuo 43,2% opera nell’ambito domestico. 
    La dimensione del fenomeno (un’assunzione su sei riguarda ormai un lavoratore immigrato) ha richiesto la creazione di un mercato del lavoro trasparente, aperto ed efficiente. Questo è lo scopo fondamentale della riforma incentrata sul D.Lgs. 30/2003: per l’attuazione di tale criterio, quest’anno, dopo l’emanazione dei decreti sui flussi per il 2005, sono stati attivati gli Sportelli unici per gli immigrati finalizzati alla gestione a livello territoriale di assunzioni e rapporti lavorativi di stranieri. 
    In pratica, per assumere un immigrato il datore di lavoro deve presentare allo Sportello unico provinciale, competente per residenza, sede dell’impresa o luogo della prestazione lavorativa, la documentazione prevista per la concessione del nulla osta. 
    Ciò nella considerazione che la regolarizzazione rappresenti il passo prioritario per una reale integrazione degli immigrati cui spettano, è ovvio, gli stessi diritti-doveri degli italiani mentre, ad esempio, il loro livello medio di rischio lavorativo risulta a tutt’oggi ben superiore a quello dei nostri connazionali.

    Tratto da: Dati Inail, aprile 2005.


    La mappa degli infortuni in Italia


    La piaga degli incidenti sul lavoro in Italia ha causato più morti della seconda Guerra del Golfo. Lo studio dell'Eurispes «Infortuni sul lavoro: peggio di una guerra», presentato alla Camera dei deputati, ha calcolato come dall'aprile 2003 all'aprile 2007 i militari della coalizione che hanno perso la vita sono stati 3.520, mentre, dal 2003 al 2006, nel nostro Paese i morti sul lavoro sono stati ben 5.252. Un incidente ogni 15 lavoratori, un morto ogni 8.100 addetti: queste le cifre del fenomeno secondo l'Eurispes.
    Un dato «impressionante», secondo il presidente della Commissione attività produttive della Camera Daniele Capezzone, che ha commissionato all'Eurispes lo studio. 
    Infortuni che costano ogni anno alla comunità 50 miliardi di euro. Secondo Capezzone è necessario intervenire «con le imprese, anziché vessarle fiscalmente e burocraticamente, occorre fare un patto per la sicurezza, intensificare i controlli ed eliminare il meccanismo appalti-subappalti». Nel mirino, dunque, il meccanismo dei subappalti, nei quali di risparmia sulla sicurezza e sul costo dei lavoratori, spesso scegliendo maestranze poco preparate e precarie.

    Le cifre sugli infortuni e sulla mortalità nel mondo del lavoro in Italia sono drammatiche e mettono in risalto l’inefficacia dei provvedimenti legislativi a tutela dei lavoratori. Per marcare la portata del fenomeno delle morti bianche basta esaminare le seguenti cifre: - dall’aprile del 2003 (anno di inizio della 2° Guerra del Golfo) all’aprile 2007 i militari della coalizione che hanno perso la vita durante le operazioni belliche sono stati 3.520. I morti sul lavoro in Italia dal 2003 all’ottobre del 2006 sono stati 5.252 ;

    - dalla serie storica 2000-2006 risulta che ogni anno in Italia muoiono in media 1.376 persone per infortuni sul lavoro. Poco meno del 70% dei lavoratori (circa 850) perdono la vita per cadute dall'alto di impalcature nell’edilizia; ribaltamento del trattore in agricoltura; in un incidente stradale nel trasporto merci per le eccessive ore trascorse alla guida. 
    L’età media degli infortuni mortali si aggira sui 37 anni per cui, dato che l’aspettativa di vita alla nascita è in media di circa 79,12 anni , ogni incidente comporta una perdita di vita pari a 42 anni. Moltiplicando questo dato per il totale dei morti gli anni di vita persi ammontano a poco meno di 58mila. Nel triennio 2003-2005 le donne infortunate sono in media il 25,75% ed i decessi si attestano su un valore medio del 7,7%.

    La percentuale media delle denunce per infortunio tra i lavoratori immigrati è dell’11,71% mentre quella dei decessi è del 12,03%. 
    La sostanziale uguaglianza è quantomeno anomala, dato che per i lavoratori italiani la percentuale degli incidenti è di gran lunga superiore a quella dei morti. Il fatto che la percentuale dei lavoratori immigrati deceduti sul lavoro è leggermente più alta di quella degli incidenti fa pensare che molti infortuni non siano denunciati. 

    Consulta le tabelle e le cartine elaborate dall'Eurispes nell'ambito della ricerca «Infortuni sul lavoro: peggio di una guerra», clicca qui.

    Tratto da: Eurispes,  maggio 2007

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