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    Il cedolino paga, al fine di semplificare la gestione del rapporto di lavoro, deve essere consegnato a tutti i lavoratori, per rendicontare le spettanze liquidate in virtù di un rapporto di lavoro, indicando le ritenute operate.

    Il nuovo cedolino spetta ai lavoratori subordinati, ai collaboratori coordinati e continuativi e agli associati in partecipazione con apporto lavorativo.

    Esso deve essere consegnato entro tre giorni dal momento in cui viene corrisposta al lavoratore la relativa somma o, in alternativa, entro tre giorni dal termine ultimo per l’elaborazione del libro unico, e il formato potrà essere di tipo informatico, perché la consegna può avvenire anche in modalità telematica.

    Chi viola l’obbligo di consegna del nuovo prospetto sarà punito con la sanzione amministrativa da 125 a 770 euro, mentre la mancata conservazione del libro unico per la durata di cinque anni dalla data dell’ultima registrazione costerà da 100 a 600 euro. (G-Stella Ferres)

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    Nel caso di specie, un lavoratore si infortuna e i suoi colleghi negano alla Polizia giudiziaria di averlo visto lavorare in cantiere.

    Una volta venuta a galla la verità, i lavoratori sono incriminati per favoreggiamento. In primo grado vengono assolti, ma la Corte d’appello li condanna. Questi ricorrono in Cassazione.

    In sede di legittimità i giudici, nella sentenza n. 37398 del 17/10/2011, ribadiscono il principio secondo cui, per applicare correttamente la disposizione, occorre comparare gli interessi che si fronteggiano. In questo caso, da un lato c’è l’interresse dello Stato a punire fatti di favoreggiamento personale, dall’altro, l’interesse dell’individuo. Quando tale ultimo interesse risulti essere di libertà, vale la regola di non punibilità.

    In questo caso, il lavoratore ha dichiarato il falso per salvaguardare la propria libertà, e il diritto al lavoro è esplicazione della libertà personale. Quindi rientra nell’applicazione dell’articolo 384, coma 41, del codice penale, che esclude la punibilità di colui che commette alcuni reati, tra i quali il favoreggiamento personale, per evitarsi un processo penale o senza dolo.

    Certamente questo non costituisce un via libera a dichiarare il falso per aiutare il datore, ma una sorta di comprensione verso chi lo fa per salvaguardare la propria libertà personale. (G-Ilaria Laudisa)

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    La legge 449 del 1997 concedeva un credito d’imposta pari a 10 milioni di lire per il primo nuovo dipendente assunto da una piccola o media impresa, dal 1° ottobre 1997 al 31 dicembre 2000, e pari a 8 milioni di lire per ciascuno dei successivi assunti. I benefici non erano, però, concessi, se venivano accertate violazioni che prevedono sanzioni superiori ai 1.500 euro.

    Nel caso di specie, a un imprenditore era stato negato il credito d’imposta per violazioni le cui sanzioni erano inferiori al tetto previsto. Per questo l’uomo ricorre in Cassazione, ma senza successo.

    La Suprema Corte, con la sentenza n. 22860 del 03/11/2011, ha infatti precisato che le sanzioni irrogate all’imprenditore erano per violazioni della normativa sulla salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione alle quali la disposizione citata prevede la revoca delle agevolazioni indipendentemente dall’entità della sanzione.

    Pertanto l’amministrazione finanziaria ha fatto bene a negare il credito d’imposta. A prescindere dall’entità della sanzione, se l’azienda viola le norme sulla sicurezza, perde il diritto a ogni beneficio. (G-Ilaria Laudisa)

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    Il Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi, aveva condannato un datore di lavoro alla pena di 1.000 euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, perché non aveva provveduto affinché i pavimenti e i passaggi obbligati del reparto assemblaggio della ditta non fossero occupati da materiali di produzione.

    Proprio questa incuranza aveva provocato un incidente in azienda: una lavoratrice era stata investita da un carrello in retromarcia.

    L’imputato proponeva ricorso e veniva assolto per insussistenza del fatto di cui all’articolo 590 c.p. (sentenza n. 38942 del 2011, emessa dalla Corte di Cassazione).

    Dalle motivazioni esposte dal ricorrente emergeva che, in effetti, lo stesso era stato chiamato a rispondere della violazione per cui vi sarebbe stata in precedenza regolarizzazione; dunque, la contestazione per cui è intervenuta la condanna in sede penale è quella di non aver provveduto affinché i pavimenti di passaggi ubicati nel reparto di assemblaggio della ditta non fossero ingombrati da materiali di produzione, tali da ostacolare la normale circolazione e consentire ai mezzi di trasporto l’esecuzione della manovre e dei vari movimenti in sicurezza. (G-Veronica Notaro)

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    La circolare dell'Inps n. 141/2011 stabilisce cha dal 1° febbraio 2012, l’unico mezzo di à gennaio 2012 le domande di autorizzazione alla cigo vanno presentate esclusivamente mediante il canale telematicopresentazione delle richieste sarà il canale telematico accessibile con il Pin.

    Fino al 31 gennaio 2012 saranno garantite le tradizionali modalità di presentazione della domanda.

    Pertanto, a partire da tale data, l’Inps respingerà ogni richiesta di cassa integrazione ordinaria per industria, edilizia e lapidei che pervenga in forma cartacea o attraverso altri canali telematici quali il modulo in formato pdf tramite l’applicazione invio moduli online, e-mail o posta certificata e cassetto bidirezionale. (G-Stella Ferres)

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     Le società quotate e quelle a controllo pubblico sono assoggettate all’introduzione delle quote rosa, secondo quanto previsto dalla legge 20/2011.

    I relativi cda e collegi sindacali dovranno essere composti da donne almeno per un quinto, per un terzo dal 2015.

    Ma come si stanno muovendo le società a tal proposito? Da quanto emerge dalle ricerche condotte dalla Fondazione Marisa Bellisario, da gennaio 2011 sono state 21 le aziende quotate nei cui cda hanno fatto il loro ingresso le donne.

    Su 272 società a listino, le donne presenti nei cda sono solo il 6,9%.

    Dati più positivi per i collegi sindacali, dove le donne raggiungono quota 9,8%. (G-Veronica Notaro)

     

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       I lavoratori parzialmente invalidi, titolari di assegno o pensione di invalidità, in caso di perdita del posto di lavoro, di scegliere tra il trattamento d'invalidità e quello di disoccupazione. Per poter usufruire di tale possibilità, gli stessi devono presentare domanda all’Inps.

    A comunicarlo è proprio l’Istituto con la circolare n. 138 del 2011, che espone tutte le indicazioni utili al fine di rendere operativa la sentenza n. 234 del 2011, emessa dalla Corte costituzionale.

    L’Inps spiega, innanzitutto, che per l’esercizio del diritto di scelta, è condizione indefettibile che l’interessato presenti alla competente struttura dell’Istituto una domanda amministrativa, da cui si evinca, in modo non equivoco, la volontà di scegliere l’indennità di disoccupazione anziché l’assegno di invalidità.

    Inoltre, la circolare in esame, precisa che il lavoratore, nel caso in cui diventi titolare di assegno di invalidità dopo la presentazione della domanda di indennità di disoccupazione o durante la sua fruizione, può esercitare, mediante apposita richiesta scritta, la facoltà di opzione per l’indennità di disoccupazione entro 60 giorni dalla data in cui è stato notificato il provvedimento atto ad accogliere la domanda di assegno ordinario di invalidità.

    Infine, si afferma che, nel caso di opzione a favore dell’indennità di disoccupazione, l’erogazione dell’assegno d’invalidità rimane sospesa per tutto il periodo di fruizione della predetta indennità (G-Veronica Notaro)

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      Non è sufficiente il mero richiamo da parte del giudice alla sussistenza di una infrazione al codice disciplinare in caso di licenziamento per giusta causa; esso, infatti, deve essere accompagnato da un ragionamento basato sulla proporzionalità della sanzione che vada a giustificare la graduazione della pena.

    E’ la Cassazione a sottolineare tale aspetto nella sentenza n. 22129 del 25 ottobre scorso che ha accolto il ricorso di un cassiere di supermercato licenziato per aver accreditato sulla propria fidelity card i punti della spesa accumulati dai clienti dell’esercizio.

    Gli Ermellini, accogliendo l’azione ricorrente, ha rinviato la decisione alla Corte di appello di Milano, fondando il giudizio sulla seguente affermazione “giusta causa di licenziamento e proporzionalità della sanzione disciplinare sono nozioni che la legge, al fine di adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa”.

    Nel caso di specie, la Corte territoriale, allo scopo di giudicare la proporzionalità della sanzione, ha dimenticato ogni considerazione riguardante la graduazione della pena, limitandosi ad affermare la sussistenza della fattispecie disciplinare. (G-Nicole Elia)

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        Lo conferma la sentenza della Corte di Cassazione n. 24581 del 2011. In Tribunale il preside di una scuola di Gaeta era stato condannato per ingiuria ai danni di una professoressa di lettere. Durante una commissione d’esame, infatti, il preside si era rivolto alla donna dicendole che aveva rotto le scatole, che non dimostrava nemmeno uno straccio di professionalità e chiedendo ai colleghi come facessero a sopportarla.

    In sede d’appello l’uomo è assolto con formula piena, ma i giudici di legittimità hanno dato ragione alla professoressa.

    Come si legge in sentenza, “si richiedeva un’attenta valutazione al fine di chiedersi se la prima delle espressioni non richiamasse, col suo contenuto allusivo, altre locuzioni ben più volgari e non comunicasse una nota di disprezzo per il decoro della destinataria; e se la seconda non si indirizzasse all’umiliazione della persona cui si riferiva, così finendo per raggiungere a sua volta un risultato lesivo ben eccedente i limiti del diritto di critica”.

    La sentenza d’appello è stata annullata, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello. (G-Stella Ferres)

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         Il bonus malus amplia i propri confini, infatti la riduzione dei premi Inail spetta anche a chi ha investito in sicurezza con interventi a favore di lavoratori occupati in appalti e/o subappalti o stranieri.

    La comunicazione in merito giunge direttamente dall’Inail, mediante la nota del 20 ottobre scorso.

    Tutte le aziende in possesso dei requisiti per il rilascio della regolarità contributiva e assicurativa e in regola con le norme obbligatorie in materia di prevenzione infortuni, possono richiedere il riconoscimento dello sconto, a patto che, in aggiunta alle misure minime di sicurezza, abbiano effettuato durante l’anno precedente a quello in cui si chiede la riduzione, interventi di miglioramento nel campo della prevenzione degli infortuni.

    Per il riconoscimento dell’incentivo, l’azienda deve presentare o spedire all’Inail, entro la fine di febbraio dell’anno per cui la riduzione è richiesta, una domanda su apposito modello predisposto, anche usando la via telematica. (G-Veronica Notaro)

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    La sentenza della Corte di Cassazione n. 21700 del 20/10/2011 assolve il consulente del lavoro incriminato, in quanto il professionista non è tenuto a risarcire il danno per la consulenza sbagliata, se è il frutto di un'interpretazione di un confuso quadro normativo.

     

     

     

    La controversia nasce tra un notaio romano e il suo consulente del lavoro, che nel 2000 gli aveva consigliato di versare i contributi previdenziali di alcuni dipendenti dello studio in misura fissa, secondo quanto previsto all’epoca per i giovani assunti con contratto di apprendistato.

    Questo inquadramento non è stato ritenuto corretto dall’Inps, che ha sanzionato il notaio per omissione contributiva. Il notaio fa allora causa al consulente del lavoro, chiedendo il risarcimento dei danni.

    Il Tribunale dà ragione al notaio, ma in sede d’appello il giudizio viene ribaltato a favore del consulente. Questi, infatti, aveva insistito sulla sua risoluzione, forte della nozione di impresa fatta propria dal diritto comunitario. Proprio sulla base del conflitto normativo tra legge nazionale e disciplina europea, è esclusa la colpa grave del professionista.

    La Cassazione conferma la decisione di secondo grado, affermando che “nelle ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la responsabilità del professionista a meno che abbia agito con dolo o colpa grave”, come stabilito dall’articolo 2236 del codice civile. (G-Ilaria Laudisa)

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    Le Sezioni unite penali della Cassazione, nella sentenza n. 37954 del 20 ottobre 2011, hanno deciso che il datore di lavoro che non versa il quinto dello stipendio ceduto dal dipendente commette un illecito civile, e non è responsabile di appropriazione indebita.

     

    Non versare il quinto dello stipendio ceduto dal dipendente, costituisce un illecito civile, non una responsabilità per appropriazione indebita.

    A decretarlo la sentenza n. 37954 del 20 ottobre 2011, con cui la Suprema Corte ha annullato, perché il fatto non sussiste, la precedente condanna di primo grado, confermata dalla Corte d’appello di Lecce, a nove mesi di reclusione e 600 euro di multa.

    Il legale rappresentante di una società era stato accusato di essersi appropriato, per 5 mesi consecutivi, dei soldi che una dipendente aveva ceduto pro solvendo a una banca per un prestito erogatole, pur facendo figurare il prelievo in busta paga.

    Per gli Ermellini, il datore di lavoro non può ritenersi responsabile perché non ricorre alcuna ipotesi di conferimento di denaro ab externo; il mero inadempimento ad opera del datore di lavoro dell’obbligazione di retribuire, col proprio patrimonio, il dipendente e di far fronte per esso o in sua vece agli obblighi di natura fiscale, retributiva o previdenziale, non va ad integrare la nozione di appropriazione di denaro altrui richiesta per la configurazione del delitto di cui all’articolo 646 del codice penale.

    Dunque, non è da ritenersi responsabile di appropriazione indebita, il soggetto che non adempie ad obbligazioni pecuniarie cui avrebbe dovuto far fronte con quote del proprio patrimonio non conferite e vincolate a tale scopo. (G-Veronica Notaro)

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    La sentenza n. 21856 del 20 ottobre 2011, emessa dalla Cassazione, decreta che gli studi di settore non sono applicabili al lavoratore autonomo che dimostra di avere pochi clienti ai quali fattura la prestazione per intero.

     

     

    La Suprema Corte ha sancito che gli studi di settore non sono applicabili al lavoratore autonomo che dimostra di avere pochi clienti ai quali fattura la prestazione per intero (sentenza n. 21856 del 20 ottobre 2011).

    La sezione tributaria ha ricordato che in caso di contraddittorio il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo in questione.

    Mentre, la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata mediante la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per cui sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. (G-Nicole Elia)

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    Apprendistato e lavoratori in mobilità: la procedura si semplifica e viene agevolata. Non ci saranno limiti di età, potrà essere utilizzato uno dei tre percorsi e si avrà diritto agli incentivi economici. E' quanto comunicato ieri, 20 ottobre, al Forum sul lavoro.

    Nella giornata di ieri, 20 ottobre, nel Forum sul lavoro, i tecnici del Ministero del Lavoro, hanno anticipato le disposizioni contenute nella circolare prossima alla pubblicazione.

    Le novità riguardano l’apprendistato in caso di assunzione di lavoratori in mobilità; tale pratica risulterà molto più semplice, con non poche agevolazioni, tra cui:

    -      non ci sarà un limite di età

    -      sarà possibile utilizzare uno qualunque dei tre percorsi

    -      si avrà diritto al riconoscimento di incentivi, anche economici

    Per usufruire di tali benefici, il datore di lavoro dovrà rinunciare alla libera re cedibilità del rapporto, ovvero alla possibilità di licenziare il lavoratore una volta terminato il percorso di apprendistato, come è concesso ordinariamente. (G-Veronica Notaro)

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    Si torna ai livelli record del 2007 per numero di imprese. Secondo i dati di Unioncamere-Movimprese, il saldo del terzo trimestre risulta positivo e l'incremento dall'inizio dell'anno è di 49mila attività.

     

     

     

    In base ai dati raccolti da Unioncamere-Movimprese, per numero di imprese si torna ai livelli record del 2007.

    Il saldo del terzo trimestre risulta positivo per 19.833 unità e lo stock complessivo delle imprese ha toccato il valore di 6,134 milioni, tornando dunque ai livelli del 2007.

    Per Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, il saldo tra aperture e chiusure di imprese resta attivo, anche se la forbice tende a chiudersi. Questo elemento rappresenta un segnale di allarme alquanto preoccupante; ora, il tutto sembrerebbe essere tirato avanti dall’export, dunque sarebbe importante rimettere a punto il sistema di promozione, andando a valorizzare le competenze che già ci sono, come ad esempio la rete Camere di commercio italiane all’estero. (G-Veronica Notaro)

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