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    Il dirigente che incoraggia la condotta fraudolenta dei dipendenti rischia la condanna per truffa aggravata. Lo decreta la Cassazione (sentenza n. 35344 del 29/09/2011), che ha rigettato il ricorso del direttore delle relazioni esterne del comune di Milano. 

    Il Tribunale di Milano e poi la Corte d’appello confermano la condanna alla pena di un anno di reclusione e 300 euro di multa per il reato di truffa aggravata ai danni del Comune di Milano, per aver consentito, l’imputato, che alcune dipendenti attestassero abitualmente e falsamente la loro presenza in ufficio.

    Il dirigente in questione si era difeso sostenendo che la presenza del meccanismo dl tesserino magnetico per entrare al lavoro lo rassicurava circa la corretta attestazione delle presenze dei dipendenti, e che un simile controllo non rientrava comunque nelle sue mansioni.

    I giudici della Suprema Corte chiariscono che la responsabilità del dirigente non dipendeva da un comportamento omissivo, ma commissivo, in quanto aveva instaurato un rapporto preferenziale con le dipendenti, mettendole in una posizione privilegiata che le rendeva capaci di ottenere il silenzio degli altri colleghi, pena delazioni del capo.

    La Cassazione, come si legge in sentenza, afferma che “concorre nel reato con condotta commissiva il dirigente di un ufficio pubblico che non soltanto non impedisce che alcuni dipendenti pongano in essere reiterate violazioni nell’osservanza dell’orario di lavoro, aggirando in modo fraudolento il sistema computerizzato di controllo delle presenze, ma favorisca intenzionalmente tale comportamento creando segni esteriori di un atteggiamento di personale favore nei confronti dei correi, in modo tale da creare intorno ad essi un’aurea di intangibilità, disincentivare gli altri dipendenti dal presentare esposti o segnalazioni al riguardo e così affievolire, in ultima analisi, il cosiddetto controllo sociale”.

    Tale condotta, pertanto, ha sia agevolato la commissione del reato, sia sostenuto e incoraggiato moralmente i dipendenti infedeli, che hanno goduto di una simile situazione di favore. (G-Ilaria Laudisa)

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    In aumento l’uso della carta di credito per i pagamenti delle famiglie italiane… ma la decelerazione rispetto alla media dell’ultimo anno fa pensare a un rallentamento dei consumi.

     

    I dati emergono dal Barometro degli acquisti Cashless, realizzato da CorrierEconomia e Castasì. L’iniziativa punta a utilizzare le informazioni sui comportamenti di consumo dei clienti, per metterle a disposizione della business community, delle aziende e dei decisori pubblici, col fine di orientare le decisioni di pianificazione aziendale e pubblica.

    Infatti, come spiega il responsabile marketing Cartasì, seguire la crescita delle operazioni di pagamento realizzate attraverso la carta di credito permette di avere il polso della fiducia dei consumatori e degli orientamenti di spesa settore per settore.

    Riguardo l’estate appena terminata, gli italiani hanno concentrato il proprio potenziale di spesa nel settore turistico. Rispetto allo scorso anno, è cresciuta di due terzi la spesa per viaggi e trasporti e per alberghi e ristoranti. Senza il contributo di queste voci il tenore degli acquisti sarebbe stato inferiore all’aumento dei prezzi.

    Il settore viaggi e trasporti ha avuto successo soprattutto per la possibilità di utilizzo del canale online, che ha inciso per il 25%, su una media annua di mercato del 10% circa.

    Gli altri settori maggiormente soggetti a pagamenti attraverso la carta di credito sono gli alimentari, l’abbigliamento e le calzature. (G-Ilaria Laudisa)

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    Il lavoratore che effettua la reperibilità passiva nei giorni festivi non ottiene, in modo automatico, il diritto al risarcimento dei danni psicofisici, salvo che provi il danno subito. Lo decreta la sentenza n. 18310 del 07/09/2011, emessa dalla Cassazione.

     

    La Corte di Appello, confermando la decisione del primo giudice, aveva rigettato la domanda del dipendente di un’Azienda Sanitaria volta ad ottenere il risarcimento del danno derivatogli dall’usura psicofisica subita per le giornate lavorative effettuate nei giorni destinati a riposo compensativo a seguito di turno di reperibilità prestato in giorno festivo, ritenendo non fornita dall’interessato la prova del pregiudizio sofferto in concreto e la sua dipendenza causale dalla mancata fruizione del riposo.

    Il dipendente ricorreva per Cassazione ma la Suprema Corte rigettava il ricorso.

    La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18310 dello 07.09.2011, dichiara che il danno da usura psicofisica è compreso nella categoria del danno non patrimoniale causato da fatto illecito o da inadempimento contrattuale e la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto patito dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava, pertanto, l’onere della prova, anche attraverso presunzioni semplici.

    La reperibilità prevista dalla disciplina collettiva si configura quale una prestazione strumentale e accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, e consiste nell’obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio lavoro, in vista di un’eventuale prestazione lavorativa e di raggiungere in breve lasso di tempo il luogo di lavoro per eseguirvi la prestazione richiesta. Pertanto, non equivalendo all’effettiva prestazione lavorativa, il servizio di reperibilità svolto nel giorno destinato al riposo settimanale limita solo, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso e comporta il diritto a un trattamento economico inferiore a quello spettante per l’ipotesi di effettiva prestazione di lavoro in quello stesso giorno, proporzionato alla minore restrizione della libertà del lavoratore. Allo stesso modo, l’obbligo di mera disponibilità non seguito dal godimento del riposo compensativo è del pari situazione diversa dalla prestazione di lavoro resa nel giorno destinato al riposo e non vi è alcuna ragione per ritenere che lo stesso sia di per sé idoneo a incidere sul tessuto psicofisico del lavoratore così da configurare un danno in re ipsa. D’altra parte, il disagio patito per la reperibilità in giorno festivo non seguita da effettiva attività lavorativa è già monetizzato dalla contrattazione collettiva.

    E’ possibile che il disagio assuma dimensioni tali da incidere sul piano psicofisico del lavoratore che non possa godere del riposo compensativo, trasformandosi in danno da usura psicofisica. A tal fine, però, non è sufficiente la mera deduzione di non aver potuto godere appieno il giorno festivo per il connesso impegno di reperibilità, essendo necessario allegare e provare il danno che tale reperibilità ha prodotto. Né è il datore di lavoro a dover dimostrare, diversamente che nel caso di reperibilità attiva, l’idoneità dei benefici contrattuali a fornire l’integrale ristoro il mancato recupero delle energie psicofisiche del lavoratore, essendo invece quest’ultimo a dover provare che la mera reperibilità passiva non seguita da riposo compensativo sia stata produttiva di un danno. In conclusione, il danno va provato. (G-Emanuela Crusi)

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    La circolare n. 23 del 2011 chiarisce che tutti gli illeciti previsti per il libro unico del lavoro sono oggetto di diffida obbligatoria con ammissione al pagamento della relativa sanzione, in misura del minimo previsto dalla legge.

     

     

     

    Dal 24 novembre è possibile la regolarizzazione, mediante diffida, di tutte le inosservanze comunque materialmente sanabili. Tutti gli illeciti in materia di Lul, tranne quello sulla mancata conservazione, che non è sanabile, possono essere soggetti alla diffida obbligatoria con l’ammissione al pagamento della sanzione minima.

    Sull’omessa o infedele registrazione dei dati sul Lul, il personale ispettivo potrà diffidare il trasgressore alla regolarizzazione delle inosservanze, a meno che non si accerti il dolo, ovvero la volontà del trasgressore di alterare i dati riportati.

    La circolare spiega che, nell’ipotesi di condotta illecita protratta per più mensilità, si applicano tante sanzioni quante sono le mensilità interessate, in base al numero di lavoratori coinvolti.

    La sanzione va da 150 a 1.500 euro se i lavoratori interessati dalla condotta illecita sono da 1 a 10, mentre passa a 500, fino ad arrivare a 3.000 euro se la condotta illecita interessa da 11 lavoratori in su.

    Per quanto riguarda Lul e prospetto paga, la nuova disciplina ha confermato l’obbligo di consegna a carico delle imprese. Dal punto di vista sanzionatorio, conviene utilizzare il Lul per la redazione della busta paga da consegnare ai dipendenti. In caso di scritturazioni irregolari, al datore di lavoro sarà applicata una sola volta la sanzione, mentre il datore che non utilizzi il Lul avrà una sanzione doppia. (G-Ilaria Laudisa)

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    Nuovo onere per la copertura del danno biologico in agricoltura per l’anno 2010; i datori di lavoro sono obbligati a versare all’Inail l’aggiunta dell’1,15% sui premi assicurativi. A decretarlo il dm 13 giugno 2011.

     

     

     

    L’ennesima riflessione sul danno biologico ha portato alla definizione dell’addizionale in agricoltura per il 2010. I datori di lavoro dovranno pagare all’Inail l’aggiunta dell’1,15% sui premi assicurativi, mezzo punto percentuale in meno rispetto al 2009, che aveva registrato l’1,60%. Questo quanto stabilito dal dm 13 giugno pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 193 del 23 agosto 2011.

    L’addizionale in agricoltura è mirato alla copertura finanziaria del danno biologico, a partire dal primo periodo di vigenza della nuova tutela, triennio 2000/2002. Nel 2004 la percentuale fu fissata all’1,42% del contributo versato per gli stessi anni; in relazione all’anno 2003, l’addizionale venne fissata al 3,93%; per il 2004 e il 2005 rispettivamente 4,25% e 4,10%.

    Nel 2008 il tasso è stato ridotto al 2,42%, e nel 2009 ha subito nuovamente una riduzione all’1,60%, fino a giungere all’1,15% da poco decretato. (G-Nicole Elia)

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    Il dipendente porta a casa una giacca dall’azienda per farla provare alla moglie. Per la sentenza n. 16198/11 della Suprema Corte, la violazione delle regole aziendali non sempre giustifica il licenziamento.

     

    Nel caso di specie, l’uomo licenziato dall’azienda della quale era dipendente, aveva portato a casa il capo in questione, dopo aver avvertito i propri superiori. Ciò, secondo i giudici con l’ermellino, non costituisce un impossessamento di beni aziendali che giustifica il recesso.

    Per stabilire la sussistenza di una giusta causa di licenziamento, bisogna valutare la gravità dei fatti addebitati al lavoratore e la proporzionalità tra fatti e sanzione inflitta.

    E’ necessario che, per mezzo di tali fatti, si siano negati gli elementi essenziali del rapporto di lavoro e in particolare di quello fiduciario, essendo, il licenziamento, la più grave delle sanzioni in ragione dei suoi effetti.

    Nel caso esaminato non ricorrevano tali presupposti, pertanto il licenziamento è dichiarato illecito. (G-Stella Ferres)

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    I giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27028 dell’11/07/2011, affermano che sono  responsabili di negligenza, imperizia e imprudenza gli imprenditori nella cui azienda le attrezzature presenti hanno provocato lesioni a una lavoratrice.

     

    La Corte di Appello di Torino con la sentenza del giorno 15 marzo 2010, ha confermato la condanna nei confronti di due imprenditori, ritenuti colpevoli delle lesioni riportate da una dipendente sul luogo di lavoro, e quindi obbligati a pagare una somma pattuita, pari a euro 300 ciascuno.

    Gli imputati hanno deciso di proporre il ricorso per cassazione al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento giudiziario; ma l’azione ricorrente non è servita, in quanto la Suprema Corte ha ribadito la decisione precedente (sentenza n. 27028 dell’11 luglio 2011) quindi la colpevolezza dell’impresa per gli atteggiamenti imprudenti e negligenti che hanno portato all’accaduto. Il ricorso di un imputato è stato dichiarato infondato, l’altro ha determinato l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

    Nell’analisi di responsabilità, l’azienda è risultata priva delle attrezzature adeguate, soprattutto nel reparto di stampaggio plastica e saldatrice a ultrasuoni, dove si è verificato l’incidente. L’inadempienza delle misure di sicurezza per i lavoratori ha costituito, per gli Ermellini, un ulteriore elemento utile al giudizio finale. (G-Nicole Elia)

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    Congedi e permessi: le nuove norme entreranno in vigore a partire dal prossimo 11 agosto e garantiranno al coniuge convivente con un disabile grave la precedenza sulla richiesta di allontanamento straordinario.

     

    Il decreto legislativo n. 119 del 2011 va a modificare il Dlgs n. 151 del 2001, definendo la situazione dei soggetti che devono allontanarsi dal lavoro per offrire un’assistenza costante al disabile grave che vive con loro.

    Il coniuge interessato dal rapporto di convivenza con il diversamente abile, ha la precedenza sulla richiesta di congedo straordinario; solo in caso di mancanza, decesso o gravi patologie invalidanti dello stesso, per ordine di priorità, la possibilità di domanda del permesso passa al padre o la madre, anche adottivi, uno dei figli conviventi o, in ultima ratio, uno dei fratelli o sorelle a condizione che vivano con il disabile.

    Ricordiamo che l’articolo 33 della legge n. 104 del 1992 riconosce al lavoratore il diritto di usufruire di tre giorni di permesso mensile retribuito per assistere il coniuge o il parente, o affine entro il 2° grado in situazione di gravità; dal 24 novembre 2010 il diritto ai tre giorni non può essere riconosciuto a più di un lavoratore con riferimento alla stessa persona bisognosa di cure e assistenza.

    L’inps, col messaggio n. 13013 del 17 giugno 2011, ha stabilito che, nel periodo di allontanamento dal lavoro per i motivi sopracitati, non maturi il Tfr che è previsto per le assenze causate da altri eventi, quali infortunio, malattia e gravidanza.

    L’articolo 42, comma 5, del decreto n. 151 del 2001, specifica, inoltre, che il periodo di congedo straordinario non ha valore ai fini della tredicesima mensilità. (G-Nicole Elia)

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    La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16190 dichiara nullo il licenziamento del dirigente comunale che non è stato intimato dall’organo competente.

     

    La Corte di Appello di Torino condannava il Comune di Alessandria al pagamento di somme emerse in un momento immediatamente successivo al licenziamento di un suo dirigente.

    Il dipendente in questione era stato allontanato dal posto di lavoro e privato del proprio incarico con decreto del Sindaco, ma senza adozione della decisione da parte dell’ufficio di competenza.

    I giudici, in virtù di tale elemento, hanno decretato la nullità della destituzione ai danni del lavoratore.

    L’Amministrazione comunale ha presentato ricorso nella speranza di vedersi liberata dalla condanna, ma così non è stato. Gli Ermellini, con la sentenza n. 16190 del 25 luglio 2011, hanno ribadito l’illegittimità dell’esonero dell’impiegato pubblico, in funzione della non comunicazione dell’organo competente in materia, ritenendo infondati i motivi esposti dal ricorrente, tra cui la giusta causa del recesso del rapporto di lavoro e l’ammissione in appello di argomenti espressamente esclusi dall’appellante nell’atto di gravame. (G-Nicole Elia)

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    La sentenza n. 15733 della Corte di Cassazione sul caso di un operaio morto per una scarica elettrica al suo primo giorno di lavoro. L’Enel è responsabile per non aver adeguatamente protetto il cavo a media tensione.

     

    I familiari della vittima, un uomo al suo primo giorno di lavoro, hanno chiamato in giudizio l’Enel s.p.a. dinanzi al Tribunale di Lecce con la richiesta di condanna della stessa società al pagamento dei danni derivati dalla morte del lavoratore.

    Il giovane eseguiva dei lavori di rifacimento di un impianto elettrico presso un locale posto in aderenza a una cabina elettrica di proprietà dell’ente imputato, quando accidentalmente aveva urtato un cavo portante energia a media tensione che la società distributrice non aveva adeguatamente protetto. La vittima è stata folgorata dal filo ed è deceduta dopo 39 giorni in ospedale.

    L’operatore elettrico contestava la pretesa, affermando che l’accaduto era da attribuirsi solo alla condotta imprudente del giovane, considerato che la cabina era chiusa con porta metallica e munita di appositi cartelli che vietavano l’ingresso a persone non autorizzate, sostenendo inoltre un concorso di colpa della società ex proprietaria della cabina attigua e committente dei lavori di rifacimento.

    Con sentenza 30 luglio-30 dicembre 2004, il Tribunale condannava al pagamento delle spese di giudizio gli attori, respingendo ogni accusa.

    La famiglia della vittima non si è arresa, e ha presentato ricorso in Cassazione. Quest’ultima, con la sentenza n. 15733 del 18 luglio 2011, ha decretato colpevole l’Enel, escludendo l’esistenza di un qualsiasi nesso di causalità tra incidente mortale e svolgimento di attività lavorativa.

    Gli Ermellini hanno ribadito che, in materia di responsabilità civile, il limite per l’esercizio di azioni pericolose ex art. 2050 cod. civ. risiede nell’intervento di un fattore esterno che attiene non a un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, che può legarsi comunque ai caratteri di imprevedibilità del danneggiato. Con tali motivazioni il ricorso è stato accolto e la sentenza impugnata e rinviata alla Corte di Appello di Lecce. (G-Nicole Elia)

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    Condannato il titolare di un’impresa di costruzioni che assume un lavoratore rumeno senza il permesso di soggiorno. La sentenza n. 27077 del 12/07/2011 della Corte di Cassazione non esclude la responsabilità dal fatto che fosse stata chiesta la regolarizzazione.

     

    Il Tribunale di Mantova condannava il titolare di un’impresa edile alla pena di mesi tre di arresto e euro 5.000 di ammenda, con la sospensione condizionale della pena e la non menzione. perché, in relazione al reato di cui all’art. 22, comma 12, d.lgs. 286/98, aveva occupato in qualità di operaio edile un lavoratore di nazionalità rumena privo del permesso di soggiorno.

    La Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosceva all’imprenditore le circostanze attenuanti generiche rideterminando la pena nella misura di mesi due di arresto e euro 3.400 di ammenda. La responsabilità dell’imputato veniva tratta da quanto riferito dal Carabinieri del N.O.R. che avevano effettuato l’accertamento presso il cantiere edile e dalla documentazione acquisita. Inoltre, i giudici sostenevano che la responsabilità dell’imputato non era esclusa dal fatto che fosse stata chiesta la regolarizzazione, peraltro, dopo un apprezzabile periodo di tempo dall’inizio dell’attività lavorativa.

    L’imputato ricorreva per Cassazione ma la suprema Corte rigettava il ricorso.

    La Corte di Cassazione, con sentenza n. 27077 del 12.07.2011, afferma che chi occupa alle proprie dipendenze uno straniero irregolare viola la legge, né vale a limitare la responsabilità del datore di lavoro, la circostanza che sia stata chiesta la regolarizzazione.

    L’art. 22 comma12 del decreto legislativo 286/1998 stabilisce che il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato.

    Nel caso in esame, risultavano infondate le censure del ricorrente che aveva contestato l’inutilizzabilità delle prove testimoniali raccolte, ossia le dichiarazioni dello straniero e del geometra della ditta che aveva fatto da interprete, e la sua buona fede poiché era stata inoltrata la domanda per la regolarizzazione. Ad avviso della Suprema Corte, il giudice di appello aveva correttamente fondato la propria decisione sull’accertamento compiuto dai carabinieri e, rilevando che la responsabilità dell’imputato non era esclusa dal fatto che fosse stata chiesta la regolarizzazione, peraltro, dopo un apprezzabile periodo dall’inizio dell’attività lavorativa. (G-Emanuela Crusi)

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    Massaggi sulla spiaggia? No, grazie. L’ordinanza del ministero della salute vieta questo tipo di trattamenti, offerti dagli ambulanti. Ogni attività che ha effetti sulla salute, deve essere svolta da operatori con adeguata e comprovata preparazione.

     

    Quest’anno i bagnanti non potranno godere dei rilassanti massaggi o dei trattamenti estetici vari eseguiti in spiaggia, molte volte da “professionisti improvvisati”.

    L’ordinanza del Ministero della salute dell’11 maggio scorso, e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 13 luglio, vieta espressamente l’esercizio di tale attività in spiaggia, soprattutto per motivi igienici.

    L’igiene delle mani, e, in generale, dell’operatore, è fondamentale per prevenire la trasmissione di infezioni cutanee, come verruche e dermatofitosi.

    Il contesto estivo del lido marino non garantisce, sicuramente, il rispetto di adeguate condizioni igieniche. Se a ciò si aggiunge che, nella maggior parte delle volte, creme, unguenti e pomate varie usate nei trattamenti, sono di dubbia provenienza, si fa presto a concludere che è meglio non fidarsi.

    L’ordinanza prevede, pertanto, che lungo i litorali marini, lacustri e fluviali, è vietato offrire prestazioni riconducibili a massaggi estetici o terapeutici da parte dei soggetti ambulanti. I sindaci di tali centri sono tenuti ad applicare e a far rispettare quanto disposto, e a provvedere all’affissione dell’ordinanza presso la casa comunale.

    Anche le Asl sono tenute a darne conoscenza, mediante affissione dell’ordinanza negli esercizi commerciali.

    Inoltre i gestori, pubblici o privati, che hanno a disposizione tratti di litorale, hanno l’obbligo di segnalare alle autorità competenti ogni violazione al contenuto dell’ordinanza in oggetto, che ha validità dal 13 luglio fino alla fine della stagione balneare 2011. (G-Ilaria Laudisa)

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    Aumento dell’Irap 80,15 punti percentuali) e dell’Irpef (0,30 punti percentuali ) con decorrenza dall’esercizio 2011, per Calabria, Campania e Molise, per la mancata copertura dei fabbisogni finanziari del comparto sanitario.

     

    Il documento integrale può essere visionato sul sito www.agenziaentrate.gov.it.

    Anche per quest’anno, sono state confermate, per Calabria, Campania e Molise, la maggiorazione Irap e quella relativa all’addizionale regionale Irpef.

    In questi territori è stata infatti accertata, dal tavolo per la verifica degli adempimenti e dal comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, una situazione debitoria, anche per il 2010, tale da far scattare gli automatismi fiscali, necessari a ripianare il deficit sanitario (legge 191/2009, art. 2, comma 86).

    L’Agenzia delle Entrate ha già diffuso le istruzioni necessarie per poter procedere alla corretta determinazione degli acconti Irap 2011, per effetto dell’aumento di aliquota.

    Nei casi in cui i contribuenti scelgano di applicare il metodo storico ai fini della determinazione degli acconti Irap 2011, si dovrà assumere come imposta del periodo precedente, utile ai fini del calcolo degli acconti stessi, l’aliquota del 2010 già comprensiva della maggiorazione di 0,15 punti percentuali. Se si sceglie invece il metodo previsionale, si assumerà come imposta di riferimento, quella determinata applicando al valore della produzione imponibile l’aliquota di imposta maggiorata dello 0,15%.

    Relativamente all’incremento Irpef, nelle tre regioni, le variazioni avranno i loro effetti nel 2012. (G-Angela Cuscela)

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    Il regolamento n. 585/2011 della Commissione europea istituisce misure di sostegno per gli agricoltori ortofrutticoli colpiti dal crollo dei consumi dovuti al batterio killer. Chiarimenti sulle domande da inviare.

     

    Il provvedimento è da subito operativo e mette a disposizione 210 milioni di euro.

    La Commissione europea ha già pronti i moduli per gli stati membri, con cui inviare la richiesta, entro il prossimo 18 luglio, di compensazione certificando i volumi totali dei prodotti ritirati dal mercato.

    I dati finali delle compensazioni saranno pubblicati il 22 luglio e il pagamento, di massimo il 50% del prezzo della normale produzione, sarà effettuato a giugno.

    I prodotti oggetto dell’intervento straordinario sono: cetrioli, pomodori, insalate, indivie, peperoni e zucchine, che saranno ritirati dal mercato, correggendo alcuni squilibri economici, generati dall’impatto mediatico sui consumi di prodotti ortofrutticoli della variante tedesca del batterio escherichia coli. (G-Ilaria Laudisa

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    Scatta la sanzione amministrativa – da 3mila a 150mila euro – per chi fabbrica o mette in commercio alimenti per lattanti che possono essere rischiosi per la salute dei bambini. Lo ha stabilito il decreto legislativo n. 84, pubblicato ieri, 15 giugno, sulla Gazzetta Ufficiale.

     

    Il decreto legislativo indica ventitré tipologie di sanzioni amministrative sulla commercializzazione e produzione di tipi di latte a base di proteine del latte vaccino o della soia e di altre sostanze alimentari.

    Tali tipi di alimento sono sottoposti a rigidi controlli secondo le norme Ue, anche dal punto di vista dell’etichettatura, della commercializzazione e della pubblicità.

    Le pene maggiori spettano a chi fabbrica e commercializza alimenti per lattanti o di proseguimento contenenti sostanze che, sulla base di pareri scientifici di organismi riconosciuti a livello nazionale e internazionale, risultino pericolosi per la salute dei bambini.

    Nel decreto sono elencati anche gli obblighi di etichettatura e presentazione, in materia di pubblicità, di modalità di commercializzazione, di distribuzione di campioni e forniture, di predisposizione e diffusione di materiale informativo e didattico nel settore dell’alimentazione dei lattanti e della prima infanzia.

    Gli importi raccolti con le sanzioni incrementeranno il “Fondo per le iniziative di ricerca e di informazione a favore della promozione dell’allattamento al seno”, promosso dal ministero della salute. (G-Ilaria Laudisa)

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