Lavoratori esposti all’amianto

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    La sentenza n. 15286 del 12/07/2011 della Corte di Cassazione sui lavoratori esposti all’amianto: per il beneficio contributivo occorre accertare che l’esposizione del rischio sia qualificata.

     

    Due lavoratori proponevano ricorso per accertare il loro diritto alla maggiorazione contributiva per le prestazioni pensionistiche in relazione all’intero periodo del lavoro svolto presso un’azienda con esposizione all’amianto.

    Il Tribunale di Ravenna accoglieva la domanda.

    La Corte di Appello di Bologna confermava la decisione di primo grado.

    L’Inps ricorreva per Cassazione e la Suprema Corte accoglieva il ricorso.

    La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15286 dell’12.07.2011, afferma che il diritto al riconoscimento del beneficio della maggiorazione contributiva non si identifica con la mera durata ultradecennale dell’attività lavorativa svolta, bensì con l’esposizione del lavoratore al rischio di ammalarsi a causa dell’inspirazione, per oltre un decennio, di fibre di amianto presenti nel luogo di lavoro in quantità superiore ai valori limite prescritti dalla normativa di prevenzione.

    Pertanto, l’accertamento giudiziale della semplice durata dell’attività, senza quello del rischio effettivo e, quindi, senza l’apprezzamento di un’esposizione “qualificata”, non costituisce, di per sé, ragione di riconoscimento del diritto al beneficio contributivo e, in quanto tale, non è suscettibile di passare in giudicato.

    Nel caso in esame, in sede di appello l’ente previdenziale si era specificamente lamentato della statuizione del Tribunale in ordine alla non necessità del “superamento dei valori limite” stabilito dall’art. 24 del D.Lgs. n. 277 del 1991, fatto quest’ultimo che, nella previsione della legge 257/1992, concorre con lo svolgimento ultradecennale di attività lavorativa, in presenza di amianto, a configurare l’esposizione “qualificata”, requisito necessario per il riconoscimento del diritto al beneficio contributivo. Il giudice di appello dichiarava di condividere, facendo proprio il giudizio del consulente tecnico di ufficio, il quale aveva posto in evidenza che i lavoratori erano stati posti al rischio di inalare fibre di amianto in misura superiore al valore limite, stabilito dall’art. 24 del D.Lgs. n. 277 del 1991, dalla loro assunzione per oltre dieci anni, salvo, poi, senza alcuna spiegazione e in contraddizione con tale premessa, rigettare l’appello dell’istituto previdenziale, con il riconoscimento del diritto al beneficio per periodo ulteriore.

    Ad avviso della Suprema Corte, non si può negare, a fronte della richiesta dei lavoratori diretta a ottenere la rivalutazione contributiva per tutto il periodo lavorativo, l’interesse dell’ente previdenziale all’accertamento dell’effettivo periodo di esposizione dei lavoratori all’amianto. E’ necessario, quindi, adottare il principio dell’applicabilità del coefficiente moltiplicatore ai soli periodi di effettiva e accertata esposizione al rischio amianto. Il giudice del rinvio, pertanto, dovrà procedere alla verifica dell’effettivo periodo di esposizione qualificata all’amianto dei due lavoratori, suscettibile, come tale, di rivalutazione contributiva. (G-Emanuela Crusi)

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